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CLUB TENCO - ARTE e MESTIERE

Gianni Siviero e Giorgio Lo Cascio - Club Tenco anni 70 
 

Giorgio Lo Cascio, in una sua canzone molto bella, diceva  "vorrei fosse un lavoro. ma la chiamate arte", ed ero (e sono) assolutamente in sintonia con il mio povero e fraterno amico. (GIANNI SIVIERO)

 

Parte del cantautorato dei primi anni 70 si illuse di poter fare un mestiere di ciò che per tanti, compreso il sottoscritto, passava solo per Arte e Poesia, tentando di creare una rete di distribuzione capillare e di organizzazione culturale di quella "nuova canzone" che avanzava su tutti i fronti, tentando così di opporsi  al predomino assoluto delle case discografiche che, a quel tempo, stavano ancora osservando e vagliando il fenomeno della canzone d'autore in pieno sviluppo.  Ecco cosa diceva un caro  amico di Siviero, lo sfortunato e compianto Giorgio Lo Cascio, al  Primo Congresso della Nuova Canzone organizzato dal Club Tenco nel 1975:

"Ci sono delle strutture che stanno già lavorando in questo senso. Le Strutture si chiamano: comitato di quartiere, circoli Arci. Si chiamano anche PCI... A Roma stanno nascendo centri culturali decentrati, alcuni funzionano molto bene, altri molto male, comunque ci sono..." (GIORGIO LO CASCIO)

Giorgio Lo Cascio fu uno degli artisti in prima linea nel tentare di costruire la totale indipendenza della Canzone d'Autore rispetto al potere delle case discografiche, consapevole che poesia, creatività e coerenza mal si addicevano ad un'industria musicale che guardava solo alla logica del profitto, ieri come oggi.  Fu tra i più combattivi in tal senso, credeva nell'autonomia della Cultura rispetto al mercato, come altri confidava in quel sogno che si sarebbe frantumato al giro di boa degli anni '80..

Al primo congresso della Nuova Canzone del 1975 organizzato dal Club Tenco di Sanremo furono trattati svariati temi, anche quello di una gestione autonoma della propria musica da parte di quel folto drappello di cantautori. Fu un tentativo  utopistico-romantico di non fare in modo che la canzone d'autore passasse a piene mani nell'ottica consumistica e commerciale dell'industria discografica, con la quale sarebbero stati spazzati via i più deboli a favore dei più forti, il che non vuol dire dei più bravi, forse solo dei più...accomodanti.  A quel congresso Giorgio Lo Cascio fu tra i più combattivi e determinati nel tentare di imboccare una strada che presto si sarebbe rivelata "sbarrata" in tutti i sensi, sospinto dai suoi ideali, da un'onestà artistica e intellettuale che già allora non era una prerogativa di molti. Grande artista e persona leale, troppo presto strappato alla vita...

Lo scopo era anche che la canzone d'autore potesse dare di che vivere a quei cantautori che, in seguito,  sarebbero stati considerati  "minori",  qualora le logiche e le leggi di mercato  avessero preso il sopravvento su tutta quella passione che circolava nell'aria. Obiettivo fallito in pieno, non appena la canzone d'autore diventò un fenomeno di massa, sparirono in tanti. Le case discografiche fecero selezione tra quelli che potevano  portare soldi al mercato e chi, invece, solo la caparbietà di voler cantare ancora con sincerità le proprie canzoni che narravano di utopie, di aperta ribellione ad alcune realtà sociali, di esistenzialismi a volte "spietati", ricamati sull'illusione di potersi raccontare agli altri  anche così, in musica e parole.  Quindi anche i più introspettivi, malinconici ed esistenzialisti subirono la medesima sorte.

Il tutto, dettato anche dal cambiamento radicale ed inesorabile dei tempi....

Con l'avvento degli anni 80, infatti, non appena si placò la stupenda onda d'urto del decennio precedete, si contarono solo i morti... E questi cadaveri si chiamavano: voglia di parlare e di ascoltare, conoscere la vita, i problemi, le gioie e gli affanni del tuo compagno di banco o di strada, e nel contempo sentire il desiderio di raccontargli di te; defunto lo spirito di condivisione, la voglia di mettere gli altri a conoscenza delle cose che sapevi fare, scrivere, dipingere....

Fu per questo che quegli assurdi, quasi irreali anni 70 videro il mondo pieno di ragazzi che suonavano, cantavano, per strada o nelle cantine  e, sempre per strada dipingevamo, intrecciavano collanine e braccialetti di perline colorate o di rame, mentre fiorivano piccole botteghe improvvisate di artigianato in cui ogni forma di creatività, sia pure il lavorare la creta, veniva vissuta pienamente. Sullo sfondo di tutto questo, l'utopia di potersi guadagnare da vivere in questo modo,  con creatività, ognuno facendo quel che sapeva fare.  E c'era posto per tutti,  proprio perchè era quel tempo a consentirlo....

 

In definitiva, alcuni cantautori che parteciparono alle prime Rassegne Tenco coltivavano lo stesso desiderio: poter campare anche così, regalando al mondo quel che sapevano  fare, suonare, cantare, scrivere parole che non andassero ad imprimersi sull'acqua ma nel cuore della gente, fino a quel momento disposta ad accettare di tutto, pure "il male di vivere" di un Mauro Pelosi che si trova anche in alcune canzoni di Claudio Lolli.

Tutto andava bene, tutto da ascoltare, sondare, esplorare, anche i brani di lotta politica ed autentica denuncia sociale di Ivan della Mea, di Giovanna marini, di tutto il Canzoniere Italiano. Queste e mille altre cose ancora, a cui gli anni 70 avevano dato il diritto di esistere e diffondersi, sempre per via di quella spinta ad ascoltare, conoscere, partecipare, condividere. E questo piccolo-grande esercito di cantautori-marziani per diversi anni ha suonato e cantato dappertutto, nelle strade, nelle piazze, nei teatri, nelle manifestazioni, in ogni raduno popolare in cui pulsassero le passioni di tutta quella gente "seppellita dagli sputi del potere" e che non possedeva altra ricchezza se non quella di stare insieme, cantare e lottare per un domani  migliore.

 

In ognuna di queste occasioni potevi trovare artisti di grande spessore come Giorgio Lo cascio, Gianni Siviero, e altri come loro, non destinati alla celebrità. Suonavano e cantavano per la gente anche per poche lire, spesso anche senza compenso alcuno. E se tanti, troppi ragazzini ingenui e avventati, come il sottoscritto, si ostinavano ad entusiasmarsi di fronte a ciò che ritenevano soltanto arte e  poesia, ecco che Giorgio Lo Cascio rispondeva "Vorrei fosse un lavoro, ma la chiamate arte...." 

In effetti era stata deposta un'aureola di santità sul capo di quei cantautori, visti e vissuti sempre come poeti, portatori del cambiamento e di uno stile rivoluzionario di vita, ma  quasi mai concepiti come esseri umani alle prese con i problemi quotidiani, con la lotta per la sopravvivenza nel contesto di  un sistema che, già si capiva, voleva assorbirne alcuni per trarne profitto, e mettere in "lista di disoccupazione" tanti altri.  Gianni Siviero, a questo riguardo, scrisse nel 1978  una canzone molto bella "Un pigiamino viola", inserita  un album mai pubblicato:

Un pigiamino viola (1978)

(Gianni Siviero)

Mi voglion puro e povero, arrabbiato e coerente,

non gliene frega niente se non sono importante,

d’altronde non potrebbe esser diversamente

un puro e coerente non diventa importante

 

Meglio se nel frattempo rischio o faccio la fame,

mi possono aiutare, consolare ascoltare.

Sono un essere strano, sconosciuto e ignorato,

che solamente loro, hanno capito e amato...

 

Ai più che nella massa annaspano vivendo

le cose che io dico, suono come la noia

dello specchio al mattino, che non sai poi se è noia

o l’angoscia di un giorno che vuol esser vissuto

 

-Sarà forse che invecchio- diceva un vecchio amico

lo stesso che diceva -Te sei sempre incazzato-

Forse invecchio davvero e scriverò di gente

che ingigantisce, strano, stando -sul falsopiano-

 

Fossi capace almenodi far tre piegamenti

con le gambe a compasso fingendo accoppiamenti,

Una sciarpa arancione, un pigiamino viola,

avrei perso la faccia, conquistato i pistola...

 

Ma forse mi verrà di colpo un’intuizione

un rimaneggiamento -La danza delle ore-

non sarò più incazzato, giovane no di certo,

non dirò più che canto,

andrò a fare un concerto...

 

 
 
 
 
 
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