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intervista a Claudio Lolli sul Movimento di Seattle

"Il movimento di Seattle, l'unica vera novità politica del presente"

intervista a Claudio Lolli:

 L'arte può ancora dare un contributo importante
 

di MAURIZIO RUBINO

   Nonluoghi incontra Claudio Lolli una sera di gennaio a Pedavena (Belluno), poco prima di un suo concerto. Claudio Lolli, l'indimenticato autore di un repertorio-simbolo dell'impegno musicale con radici negli anni '70 (chi non ricorda, per fare un esempio, parole come "Vecchia piccola borghesia il vento un giorno ti spazzerà via"...), ha pubblicato da pochi mesi un nuovo album, "Dalla parte del torto".

    Claudio, possiamo cominciare dando uno sguardo al tuo percorso artistico, dagli inizi fino a oggi?

    "Un esercizio molto difficile, anche perché questo percorso è trentennale. Credo aver passato varie fasi. Da una fase, diciamo, di ingenuità, di denuncia della sofferenza dell'adolescenza, a una fase di presa di coscienza del valore politico della sofferenza e spero di essere arrivato a una specie di serenità espressiva che non elimina gli stadi precedenti ma in qualche modo li sublima".

   "Dalla parte del torto", quindi dalla parte degli ultimi, di chi sta ai margini. Per te chi sono oggi i nuovi emarginati?

   "Ma non sono nuovi.... Ci sono sempre stati. Forse negli ultimi dieci-quindici anni è stata particolarmente aggressiva l'ideologia dell'omologazione, il tentativo di far sentire tutti democraticamente liberi e padroni di sè: cosa falsa sia dal punto di vista della microvita sia dal punto di vista della macrovita. Allora sarebbe il caso che ognuno, nel suo piccolo, cominciasse a prendersi delle responsabilità. Non è che io voglia fare qui un proclama (ne ho fatti tanti...) ma semplicemente un invito, banale se vuoi. Rendiamoci conto che nel mondo il potere c'è, il denaro c'è, l'ingiustizia esiste. Esistono i prepotenti e i padroni, esistono i servi. Non facciamo finta che tutto questo, oggi, non ci sia più...".

   Che ruolo può avere l'arte di fronte all'avanzare violento della globalizzazione in versione neoliberista?

   "Credo che possa avere un ruolo grandissimo. L'arte, essendo espressione, può essere una forma di originalità e quindi di individualità, cioè consente a ognuno di mostrare le caratteristiche invece che quelle più simili agli altri. Mi sembra una bella forma di resistenza. Oppure, se non vogliamo usare questa parola giù connotata storicamente, diciamo un bell'antivirus. Io tra l'altro lavoro in una scuola e vedo che oggi i ragazzini fanno molta fatica a valorizzare i loro lati originali. E l'arte, cioè l'espressione di ognuno di noi, potrebbe avere proprio la funzione di insegnare a valorizzare le proprie differenze".

   Come vedi il vasto arcipelago di persone e associazioni che cerca di contrastare dal basso i processi omologanti del neoliberismo globale? Pensi si possa parlare di resistenza popolare? C'è qualche colore che può richiamare alla mente l'alba del '68?
   E questo movimento vasto e eterogeneo, secondo te può davvero riuscire a incidere nei meccanismi della grande macchina della globalizzazione?

   Alla prima domanda rispondo senz'altro di sì. Mi sembra che questa sia l'unica vera novità del panorama politico degli ultimi anni. Se questo movimento possa incidere dipenderà da come andrà il mondo... dai rapporti di forza... non lo so.
L'impegno di chi va in piazza a Seattle o prende il treno e va a Nizza, mi sembra l'unica presa di posizione sia teorica sia pratica che ha in mente, in qualche modo, la globalità dell'oppressione e la globalità del problema che richiede dunque risposte, appunto, globali. Questo movimento antiglobalizzazione ha capito l'urgenza e le dimensioni di un problema che investe tutto il pianeta. Mi viene in mente una vecchia canzone di Leo Ferrè, che mi pare s'intitoli Gli anarchici, che fa <quando dai i calci in culo e c'è da incominciare, son gli anarchici che vanno per le strade>. Loro per lo più non sono anarchici ma l'immagine mi pare bella, nel senso che, forse, c'è proprio bisogno di qualcuno che dia i calci in culo, cioè che aiuti tutti a capire e far proprio il problema". 

   C'è qualche iniziativa anti-globalizzazione che ti sembra più significativa di altre? Tipo la Tobin Tax o la campagna sul debito estero dei paesi poveri?

   Non vorrei fare il Jovanotti di sinistra... Credo che questo sia un momento di riflessione e di aggregazione importante. Io do il mio contributo con la produzione poetica, che forse è l'unica cosa che so fare. In piazza ci sono stato per tanti anni e sono anche stanco di una certa immagine, di esser preso per il profeta di qualche nuova sassaiola. Scrivo e canto...

   A proposito: recentemente hai fatto una rivisitazione di alcuni tuoi pezzi storici...

   "Sì, una rivisitazione ironica. Penso che tu ti riferisca a Borghesia, una canzone degli anni '70. Ecco, abbiamo cambiato in sostanza due parole, anche perché così è più divertente. C'è la strofa in cui il ragazzo, ai miei tempi, è oppositore perché <comunista>; ora dico <ex> sottovoce... E poi, alla fine, diceva <Vecchia piccola borghesia il vento un giorno ti spazzerà via>: ora aggiungo un <forse>, perché credo che la storia mi abbia dato torto. Ma quel forse, in realtà, oggi, conferma il senso della mia analisi di allora".

   Come vedi i mass media di oggi, anche al confronto con quelli di trent'anni fa?

   "Domanda difficile. Sta succedendo qualche cosa che non mi è molto chiaro. C'è una grande confusione tra la finzione e la realtà. La vita vissuta e la vita guardata. I miei studenti hanno adorato questo programma del Grande Fratello. Io non so bene che cosa voglia dire, perché non sono dei ragazzi sciocchi. Sì, a me verrebbe da dire che è una cosa ignobile, una schifezza; ma così non risolvo niente. Il problema è capire perché tante persone, tanti giovani, hanno seguito questa cosa, si sono identificati nei personaggi. Andrebbe studiato questo ruolo di questo occhio lontano, questo desiderio di essere guardati, di partecipare in qualche modo, anche come nullità, alla vita. Io credo che ci sia qualcosa di più profondo, di più complesso da comprendere. Se tante persone guardano una schifezza vuol dire che lì qualcosa di importante c'è, probabilmente qualche cosa di involontario. Perché tanti ragazzi la guardano? Sì, va bene, è imposta dai condizionamenti, però i ragazzi non si annoiano.
 

da www.nonluoghi.it

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