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Mettiamola così ....

El Patojo

Claudio Lolli e Mario Panseri

Mettiamola così: Roma di Natale non è solo shopping, non è solo Giubilei, non solo turisti. E nemmeno solo tifosi che litigano appresso ad un pallone quasi rotondo, schiacciato ai poli dall'incoscienza e dalla mancanza di una vera coscienza. Lasciamo stare poi la corsa-rincorsa al Campidoglio, via Rutelli tutti in gara tutti....
Roma di Natale (o quasi) è anche un locale storico dove anziché la solita musica si fa musica, dove invece delle deliranti note di cantanti-contanti si ascolta jazz, si sussurra, si parla, si discute. Si pensa, almeno sino a quando un'altra birra o un coca&rum, o un apprezzabile bianco Doc non invitano a chiudere gli occhi per lasciarsi conquistare da un sonno, chissà, meritato. 


All'Alexander Platz, dunque, in una di queste sere oscurate in giro dalle luminarie colorate-forzate delle feste a tutti i costi, si abbassano le luci, i toni, le pretese. Non le ambizioni, però. Non i grandi obiettivi, anzi. Perché sul piccolo palcoscenico s'affacciano con discrezione un delizioso e divertente maestro di chitarra, Paolo Capodacqua, e un poeta, un cantante, un raro esempio di uomo che si divide equamente tra esistenza e resistenza: Claudio Lolli.
 

Ah, Lolli. Lolli chi? Qua dentro alcune centinaia di composti ascoltatori e qualche decina di più euforici e profondi conoscitori dell'uomo, lo sanno bene. Là fuori a qualcuno tornerà alla mente qualche ritornello di "…vecchia piccola Borghesia…" (oddio, così orecchiabile, così datata, si mormora in pace), oppure di "…zingari felici in piazza Maggiore" (così ritmata, così insistente, ma anche così improbabili zingari addirittura felici d'esserlo, continua il mormorio). Là fuori, però, alla gran parte di uomini e donne schiacciati dal peso immane del tempo che passa e che consuma la tredicesima e che ci logora tra mogli, amanti, sensi di colpa e colpe dei sensi, figli abbandonati da padri-madri distratti e vincenti, a tutta quella gente "ah, Lolli" non dirà granché. Meno male....


Lolli è venuto a cantare e a cantarci il vecchio (nuovo) e il nuovo (antico). E' uscito l'album, si chiama "Dalla parte del torto". Il titolo, già, si presta ad un dibattito, privato e pubblico. Il torto? Quale? E da qualche parte, soprattutto? E la ragione, allora? Chi conosce sa, chi non conosce stenterà a capire. Immaginare che questo disco, questo concerto, un'apparizione composta e inusuale sul Tg1-Gulp da Vincenzo Mollica possa aiutare là fuori qualcuno a prendere, a comprendere, magari poi a sentire e , semmai, a dissentire, è la stupida pretesa di chi conosce (o pensa di…) quelli che stanno dentro e quelli che stanno fuori, magari stando tristemente e comodamente disteso tra quelli che stanno in mezzo.


Ma qui già le prime note ci portano altrove, ci trascinano dolcemente e intensamente oltre. "Dalla parte del torto" è il disco che dovrebbe stare "sopra" gli alberi di Natale quest'anno. E' una finestra aperta. Ti affacci e vedi, ti vedi, li vedi. Ci vedi. Basterebbe leggere i titoli, basterebbe. "Nessun uomo è un uomo qualunque". "Folk Studio". "Dalla parte del torto". "Il mondo è fatto a scale". Ascoltare questi brani è guardarsi dentro. Ovviamente la cosa non sempre può risultare gradevole, si capisce. Difatti l'ascolto è consigliato a chi ha voglia di capire, a chi si è liberato, prima di cominciare, dall'incubo dei dieci imbecilli inscatolati in una "casa" a far finta di tutto (di parlare, di mangiare, di scopare, di vivere), a chi non pensa che l'altro sia diverso perché "normale" è uno stereotipo e, perciò, la sola presenza dell'altro debba modificare la percezione che abbiamo della vita che ci circonda.


Esercitazioni cerebrali ardite e forse inutili, si sa, ce lo confermano deliranti poster sparsi nel Paese porta a porta, ma tant'è. Lolli parla, canta, sorride con un sorriso tenero e forte che commuoverebbe un bambino, una giovane madre, un uomo forte e forse falso o falsato dai modi e dai compromessi. Dal nuovo all'antico, ad "Analfabetizzazione" "Canzone dell'amore o della precarietà", "Riascoltando zingari felici", "L'amore ai tempi del fascismo", "Borghesia". L'antico è oggi. Perché ancora "…oggi il potere da quel giorno m'insegue, con le sue scarpe chiodate di paura. M'insegue sulle sue montagne, quelle montagne che io chiamo pianure". E perché oggi "…questa vita distratta ed interrotta, però bacerebbe ogni angolo deserto, della tua bocca e della tua mano, della tua bocca ...". 

Insomma avrete capito. Potremmo andare avanti, allargare il cuore e le ferite. Questo è il disco che avremmo (avreste) voluto trovare "sopra" l'albero di Natale e che forse troveremo tra il carbone nella calza di una qualunque Befana, che non è mai una Befana qualunque.
"Dalla parte del torto" non è solo un disco, come questa serata all'Alexander Platz non è solo la serata di un concerto. E' un impegno serio, autentico, reale, piacevole quanto piacevoli possono essere i pensieri che seguono a lunghi depensamenti. C'è il dolore delle cose forti, ci sono lunghi capelli biondi, c'è il freddo di un lungo inverno e il tepore di un raggio di sole che c'è. Mentre Roma pazza di se stessa, di feste, di regali, s'avvolge orientata verso il nulla e sotto l'albero mescola gioielli e ipocrisie e
la persistente, tremenda puzza d'una Borghesia che (forse) il vento un giorno spazzerà via, c'incamminiamo "dalla parte del torto" portandoci dietro il profumo nascosto e inebriante dei vicoli romani che sanno di muffa e d'antico. Di cose vere, rare. Imprendibili, verrebbe voglia di dire. Ma non cediamo alla tentazione di farlo e ci lasciamo avvolgere dall'abbraccio di un fratello.

Che non è un fratello qualunque.

Ah, Lolli......

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