Mettiamola così ....
El Patojo
Mettiamola così: Roma di Natale non è solo
shopping, non è solo Giubilei, non solo turisti. E nemmeno solo tifosi che
litigano appresso ad un pallone quasi rotondo, schiacciato ai poli
dall'incoscienza e dalla mancanza di una vera coscienza. Lasciamo stare poi la
corsa-rincorsa al Campidoglio, via Rutelli tutti in gara tutti....
Roma di Natale (o quasi) è anche un locale storico dove anziché la solita
musica si fa musica, dove invece delle deliranti note di cantanti-contanti si
ascolta jazz, si sussurra, si parla, si discute. Si pensa, almeno sino a quando
un'altra birra o un coca&rum, o un apprezzabile bianco Doc non invitano a
chiudere gli occhi per lasciarsi conquistare da un sonno, chissà, meritato.
All'Alexander Platz, dunque, in una di queste sere oscurate in giro dalle
luminarie colorate-forzate delle feste a tutti i costi, si abbassano le luci, i
toni, le pretese. Non le ambizioni, però. Non i grandi obiettivi, anzi. Perché
sul piccolo palcoscenico s'affacciano con discrezione un delizioso e divertente
maestro di chitarra, Paolo Capodacqua, e un poeta, un cantante, un raro esempio
di uomo che si divide equamente tra esistenza e resistenza: Claudio Lolli.
Ah, Lolli. Lolli chi? Qua dentro alcune centinaia di composti ascoltatori e
qualche decina di più euforici e profondi conoscitori dell'uomo, lo sanno bene.
Là fuori a qualcuno tornerà alla mente qualche ritornello di "…vecchia
piccola Borghesia…" (oddio, così orecchiabile, così datata, si mormora
in pace), oppure di "…zingari felici in piazza Maggiore" (così
ritmata, così insistente, ma anche così improbabili zingari addirittura felici
d'esserlo, continua il mormorio). Là fuori, però, alla gran parte di uomini e
donne schiacciati dal peso immane del tempo che passa e che consuma la
tredicesima e che ci logora tra mogli, amanti, sensi di colpa e colpe dei sensi,
figli abbandonati da padri-madri distratti e vincenti, a tutta quella gente
"ah, Lolli" non dirà granché. Meno male....
Lolli è venuto a cantare e a cantarci il vecchio (nuovo) e il nuovo (antico).
E' uscito l'album, si chiama "Dalla parte del torto". Il titolo, già,
si presta ad un dibattito, privato e pubblico. Il torto? Quale? E da qualche
parte, soprattutto? E la ragione, allora? Chi conosce sa, chi non conosce
stenterà a capire. Immaginare che questo disco, questo concerto, un'apparizione
composta e inusuale sul Tg1-Gulp da Vincenzo Mollica possa aiutare là fuori
qualcuno a prendere, a comprendere, magari poi a sentire e , semmai, a
dissentire, è la stupida pretesa di chi conosce (o pensa di…) quelli che
stanno dentro e quelli che stanno fuori, magari stando tristemente e comodamente
disteso tra quelli che stanno in mezzo.
Ma qui già le prime note ci portano altrove, ci trascinano dolcemente e
intensamente oltre. "Dalla parte del torto" è il disco che dovrebbe
stare "sopra" gli alberi di Natale quest'anno. E' una finestra aperta.
Ti affacci e vedi, ti vedi, li vedi. Ci vedi. Basterebbe leggere i titoli,
basterebbe. "Nessun uomo è un uomo qualunque". "Folk
Studio". "Dalla parte del torto". "Il mondo è fatto a
scale". Ascoltare questi brani è guardarsi dentro. Ovviamente la cosa non
sempre può risultare gradevole, si capisce. Difatti l'ascolto è consigliato a
chi ha voglia di capire, a chi si è liberato, prima di cominciare, dall'incubo
dei dieci imbecilli inscatolati in una "casa" a far finta di tutto (di parlare, di
mangiare, di scopare, di vivere), a chi non pensa che l'altro sia diverso perché
"normale" è uno stereotipo e, perciò, la sola presenza dell'altro
debba modificare la percezione che abbiamo della vita che ci circonda.
Esercitazioni cerebrali ardite e forse inutili, si sa, ce lo confermano
deliranti poster sparsi nel Paese porta a porta, ma tant'è. Lolli parla, canta,
sorride con un sorriso tenero e forte che commuoverebbe un bambino, una giovane
madre, un uomo forte e forse falso o falsato dai modi e dai compromessi. Dal
nuovo all'antico, ad "Analfabetizzazione" "Canzone dell'amore o
della precarietà", "Riascoltando zingari felici", "L'amore
ai tempi del fascismo", "Borghesia". L'antico è oggi. Perché
ancora "…oggi il potere da quel giorno m'insegue, con le sue scarpe
chiodate di paura. M'insegue sulle sue montagne, quelle montagne che io chiamo
pianure". E perché oggi "…questa vita distratta ed interrotta, però
bacerebbe ogni angolo deserto, della tua bocca e della tua mano, della tua bocca
...".
Insomma avrete capito. Potremmo andare avanti, allargare il cuore e
le ferite. Questo è il disco che avremmo (avreste) voluto trovare
"sopra" l'albero di Natale e che forse troveremo tra il carbone nella
calza di una qualunque Befana, che non è mai una Befana qualunque.
"Dalla parte del torto" non è solo un disco, come questa serata all'Alexander
Platz non è solo la serata di un concerto. E' un impegno serio, autentico,
reale, piacevole quanto piacevoli possono essere i pensieri che seguono a lunghi
depensamenti. C'è il dolore delle cose forti, ci sono lunghi capelli biondi, c'è
il freddo di un lungo inverno e il tepore di un raggio di sole che c'è. Mentre
Roma pazza di se stessa, di feste, di regali, s'avvolge orientata verso il nulla
e sotto l'albero mescola gioielli e ipocrisie e
la persistente,
tremenda puzza d'una Borghesia che (forse) il vento un giorno spazzerà via, c'incamminiamo
"dalla parte del torto" portandoci dietro il profumo nascosto e
inebriante dei vicoli romani che sanno di muffa e d'antico. Di cose vere, rare.
Imprendibili, verrebbe voglia di dire. Ma non cediamo alla tentazione di farlo e
ci lasciamo avvolgere dall'abbraccio di un
fratello.
Che non è un fratello
qualunque.
Ah, Lolli......
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